«Il Re di Spade», spiegò Javier guardando la parte finale del tavolo dell’obitorio. «La carta rappresenta un uomo di grande potere e influenza, un uomo aggressivo. Può essere valido alleato o temibile nemico, a seconda del punto in cui viene fuori durante la lettura delle carte.»
«Ah sì?» disse Gemma. «E che succede se viene fuori dallo stomaco di qualcuno?»
(pg. 31)
Ho trovato questo libro per caso, perchè ci sono giorni in cui faccio un salto alla Feltrinelli senza cercare niente di preciso e quindi mi guardo un po’ in giro, in generale evitando le grosse pile di libri pubblicizzati. Si tratta di un autore nuovo, che pare abbia pubblicato solo un altro libro, esordendo con L’esorcismo di Mr. Clarinet. In entrambi si ritrova il detective Max Mungus e posso ipotizzare, non avendo ancora trovato il libro, anche il suo collega di colore Joe Liston. Il Re di Spade è ambientato in un’assolata e multietnica Miami, negli anni dell’elezione di Nixon a Presidente degli Stati Uniti. Spezzoni di racconto in simil stile C.S.I. con sezionamenti di cadaveri e compagnia bella sono molto ridotti, introdotti probabilmente solo per inserire l’elemento che dà il titolo al romanzo, una carta dei tarocchi che viene ritrovata nello stomaco del primo cadavere (e non solo) insieme ad un miscuglio di ingredienti da pozione. Niente di strano, se una delle etnie di cui sopra è quella haitiana, rinomata per le sue pratiche Voodoo. La magia nera, cui l’autore lascia sempre un sottile margine di interpretazione, come se spettasse al lettore decidere se sia reale o meno, s’intreccia con faccende ben più materiali, che sarebbe troppo comodo attribuire a forze superiori e non alla schifezza partorita dalla mente umana: prostituzione, corruzione, omicidi.
Il meccanismo dell’indagine si mette in moto ex abrupto, con la descrizione nel primo capitolo del ritrovamento del primo cadavere, al Primate Park, il Parco delle Scimmie. A poco a poco i due detective si mettono in moto, usufruendo dell’aiuto di un informatore non propriamente retto e onesto (trattasi di un trafficante di droga) e allargando il campo fino a far perdere un po’ la cognizione degli spazi. Ho interrotto la lettura poco prima della metà, perchè in effetti la prima parte manda un po’ in confusione. Ho avuto anche un’altra opinione simile, quindi è probabile che non sia una cosa mia. Nella prima parte, infatti, il primo caso sembra archiviato in quattro e quattr’otto, ne segue un altro e un altro ancora, entrambi apparentemente staccati tra loro. Poi, la svolta: ancora il Re di Spade nello stomaco degli uccisi. C’è dunque una specie di dosso nella narrazione; appena imboccato si arranca, ma una volta raggiunta la cima, il paesaggio dall’alto appare più chiaro. Gli eventi iniziano a collegarsi, viene chiarita la posizione di personaggi secondari che tanto secondari non sembrano, si inizia ad intravedere la risoluzione della trama.
A dirla davvero tutta, il personaggio di Mingus non mi ha ispirato più di tanto; appena più coinvolgente è il collega Liston. Ma in realtà, i due personaggi a mio parere meglio costruiti e anche meglio resi tramite i dialoghi sono Carmine e Eva Desamours. Eva, «più sconcertante che bella» (pg. 65), di origini haitiane come il figlio Carmine, è una dama di ferro. Matriarcale, potente e crudele. A tratti la vera protagonista della storia sembra proprio lei, perchè la sua personalità è talmente forte da prevaricare sulle altre, non solo quella degli altri personaggi che si relazionano con lei, ma anche di tutti gli altri. Carmine è un giovane sui trenta che ha un buco al posto del fegato, non osa ribellarsi alla madre ed ha la colpa di aver ereditato la bellezza haitiana di un padre che Eva odia a morte. Una famigliola come tante altre: il figlio, talent scout di ragazze giovani e belle, altrimenti detto pappone; lei, sacerdotessa Voodoo. Ed è appunto qui che i due entrano nel lungo filo della storia, se non addirittura – è il caso di Eva lo – muovono. Altra coppia di personaggi, che non a caso cito insieme: Eldon Burns, capo – boss piuttosto sgradevole della Task Force di Miami, e Solomon, di cui posso riportare solo questo per non rischiare di dire troppo: «E poi apparve Solomon. Sorse lentamente dal terreno, una spirale rotante di luce rossa e arancio che splendeva alle sue spalle, come fiamme.» (pg.79).
La caratteristica che rende a tratti un po’ complessa la lettura è il continuo cambio di punti di vista. Ce ne sono ben quattro principali (Mingus, Joe, Carmine, Eva) e persino altri secondari anche se di breve durata nell’economia totale della storia. Spostare il punto di vista permette di entrare meglio in un personaggio, ma alternarli per tutto il racconto rischia per l’appunto di incappare in una non sempre immediata identificazione della testa dentro cui il lettore sta guardando. Sempre a livello narrativo, ci sono dei flash back un po’ troppo lunghi e dispersivi, specialmente dove sono schiaffati tra una parte di dialogo e l’altra. Questi elementi stonati potrebbero avallare l’ipotesi di un autore solo al secondo romanzo, che ha una buona qualità scrittoria ma deve scrivere ancora per migliorare i tempi narrativi. Nonostante queste smagliature, si tratta di una trama notevole, complessa fin quando non si trova il bandolo della matassa, e un’idea molto bella quella che viene sviluppata a partire dalla carta dei tarocchi e da tutto quello che gira intorno al Re di Spade.