Traduttore: Tomaso Monicelli
Serie: Trilogia dei moschettieri #3
Editore: Newton & Compton Genere: Classici, Storico
Pagine: 1286
ISBN: 9788879832588
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Il nostro voto:
I fatti narrati ne “Il visconte di Bragelonne" si svolgono fra il 1661, anno della morte di Mazarino, e il 1673 anno dell’arresto di Fouquet, e ultimo capitolo della vita di D’Artagnan. I protagonisti sono sempre loro, i moschettieri, solo invecchiati e divisi dagli eventi. Athos è diventato padre di un’amabile giovane: Raul, il visconte di Bragelonne del titolo, col quale vive in una specie di eden privato in campagna. Porthos è diventato, grazie a un matrimonio azzeccato, un signorotto di provincia che si diletta in caccia e banchetti prelibati. D’Artagnan è a capo del corpo dei moschettieri e serve, ancora fedelmente, il nuovo giovane re. Aramis ha preso i voti. E' quest’ultimo che riunisce ancora gli amici, anche se non più tutti dalla stessa parte della barricata, per un’altra avventura, l’ultima.
Terzo e conclusivo volume del ciclo dei moschettieri, Il Visconte di Bragelonne è un romanzo imponente – non a caso, appartiene alla collana “Mammut” dell’editore Newton Compton – e piuttosto diverso dai due che lo precedono. La sua pubblicazione inizia, sempre a puntate su Le Siècle, in pompa magna nel 1847 (un paio di anni dopo la conclusione del volume precedente) e dura fino al 1850. Dieci anni più tardi, questo il sottotitolo, anche i tumulti della Fronda si sono spenti: nel 1661 Anna è ancora Reggente e Mazzarino primo ministro, ma assai per poco – il secondo morirà il 9 marzo di quell’anno e la prima, ormai invecchiata, lascerà infine il passo al figlio ventiduenne.
Il Visconte di Bragelonne prende le mosse proprio da qui, e abbraccia in oltre milleduecento pagine la primissima ascesa del Re Sole quando ancora non si faceva chiamare tale, attraverso la restaurazione inglese, intrighi, maldicenze e soap opera di corte, la questione del sovrintendente alle finanze Fouquet e quella ancor più misteriosa della maschera di ferro. È il romanzo di più ampio respiro fra i tre, e anche quello dove il ritmo narrativo rallenta più sensibilmente: in luogo di duelli, rapimenti, fughe e le memorabili cavalcate che così tanto costavano in termini di animali, nel Visconte di Bragelonne si agisce piuttosto nell’alcova e nelle stanze più o meno segrete dei tanti palazzi dove la corte intera di Francia si sposta al seguito del suo sovrano. Certo, le corse non mancano (come dimenticare, fra tutte, l’inseguimento straziante di d’Artagnan e Fouquet?), ma non funziona più così e le questioni cui trent’anni prima si poneva rimedio con una missione o un duello si risolvono adesso in via negoziale, dietro paraventi e con bigliettini.
Dopo altri dieci anni gli antichi moschettieri, sempre più maturi, viaggiano nuovamente su strade separate: d’Artagnan comanda sempre i moschettieri, sin dall’inizio uomo di fiducia del re; Athos è ormai stabilmente ritirato sulla Loira con quella di padre come unica occupazione; mentre Porthos gode i suoi possedimenti finché non si associa ad Aramis – l’unico che, in questi anni trascorsi, sembra non essersi mai fermato – il quale briga sempre più in alto in un vortice di potere che all’apice della sua ambizione suona vertiginoso se non persino fine a se stesso. Questa la situazione di partenza: ma quando si mettono in moto le loro azioni non tradiscono la loro natura e proprio in questo si contrappongono alla “nuova generazione” – il sovrano e i giovani gentiluomini della sua corte in ascesa, Saint-Agnan e Guiche, in parte lo stesso Raoul di Bragelonne, figlio di Athos, – che all’abitudine spavalda della lama preferisce di gran lunga quella morbida dei piaceri, tipicamente d’amore.
È pieno di donne, questo romanzo. Non mancavano nei due precedenti: Milady resta indimenticata e Anna d’Austria rimane una costante, insieme a un nugolo di altre figure femminili. Ma è nel Visconte di Bragelonne che iniziano a giocare ad armi pari – o meglio: dove la “battaglia” si sposta in un territorio a loro congeniale e dunque assumono preponderanza relativa. Si sente già – e a questo farà eco un’amara reprimenda di d’Artagnan nei confronti del sovrano – l’infiorettarsi della corte del Re Sole, passo dopo passo. In uno scenario del genere quasi non stupisce che i quattro amici siano noti, tra i più giovani, già come leggende.
D’altro canto, nemmeno stupisce che continuino a comportarsi come tali-sbalordendo persino il sangue del loro sangue:
«Abbiamo forse la pretesa di prendere, in tre, la Bastiglia?»
«Se ci fosse d’Artagnan», esclamò Porthos, «non dico di no.»
Ma in effetti, a ben vedere, in gioventù quello era semplicemente il loro pane quotidiano.
Il Visconte di Bragelonne è tutto questo e molto di più. È innanzitutto una storia – e delle qualità narrative di Dumas padre non cesseremo di ripetere – ma oltre a questo è l’intensissimo capitolo finale di un canto epico, dove i personaggi a centinaia si rincorrono, amano, muoiono, si sfidano, governano, macchinano, pianificano, rapiscono, tradiscono e si spalleggiano, seducono e si lasciano conquistare, ascendono e cadono in un turbinio il quale, benché sempre più cortigiano, non può non risolversi in un climax dei più schiettamente eroici e avventurosi. Mentre le candele, una dopo l’altra, vanno spegnendosi.
Dei quattro valorosi, di cui abbiamo narrato la storia, non restava che un corpo solo: Dio aveva ripreso le anime.
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