Editore: Las Vegas Edizioni Genere: Narrativa
Pagine: 250
ISBN: 9788895744681
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Il nostro voto:
Un figlio assiste la madre, Annina, in fin di vita. In un lungo flashback che parte dalla Prima Guerra Mondiale e arriva fino ai giorni nostri, sullo sfondo di Livorno e di un’Italia che cambia, riviviamo la storia travagliata di Annina intrecciata a quella del figlio, che di fronte alla malattia della madre si ritrova a soppesare i propri errori.
Una vita difficile, quella di Annina: nata nella campagna di Garlasco, figlia illegittima di un tenente e adottata da Rino, operaio in una vetreria di Livorno. Crescendo si innamorerà di Toni, cantante dalle alterne fortune con cui concepirà il protagonista della storia, e poi di George, un ufficiale inglese arrivato in Italia per la Seconda Guerra Mondiale. Qui Annina si troverà di fronte a un bivio e dovrà compiere una scelta dolorosa.
Ugo Riccarelli ha detto di questo libro"Una madre e un figlio. Il racconto di una vita che si dipana tra il peso della materia che costruisce il destino degli esseri umani, tra le parole che Enzo Gaiotto srotola con una scrittura secca e precisa, a volte netta come certi suoi scatti fotografici. Uno scrivere denso di umanità e di quella consapevolezza che ha fatto dire a Jorge Luis Borges: 'In ogni istante della tua vita qualcuno modifica o cancella una cifra, e tutto ciò serve a un fine che mai comprenderemo'."
Se qualcuno mi chiedesse di descrivere con due sole parole Solo me ne vo per la città, penso che userei due aggettivi: delicato e intenso. Da una parte, infatti, riesce a descrivere momenti estremamente difficili con una grazia che permette all’autore di non stroppiare mai; e il rischio di cadere nel patetico è grande, quando si affrontano tematiche come quelle di questo libro. Dall’altra parte, però, non c’è un momento in cui il racconto sia meno intenso e meno sentito. Un equilibrio difficile da raggiungere, ma direi che qui il risultato è più che eccellente.
Il romanzo si snoda su due filoni principali che si intrecciano e si alternano: abbiamo la storia di Annina, raccontata al passato, che accompagniamo dalla nascita fino al punto in cui tocca il secondo filone, la storia di suo figlio che rimane al suo capezzale, impotente, ad assisterla nelle ultime ore della sua vita. La differenza tra questi due temi è sottolineata in diversi modi: lo stile con cui vengono narrate le due storie, il tempo verbale, per certi versi anche il lessico. La storia di Annina è la storia dura e difficile di una bambina, poi ragazza e infine moglie e madre che nella vita ha sempre fatto fatica, ha dovuto sempre contare anche gli spiccioli, e si è trovata di fronte a scelte dolorose che hanno avuto un enorme impatto su tutta la sua vita. Suo figlio non ha avuto le stesse difficoltà, non ha vissuto nelle stesse ristrettezze, è un giornalista di successo, separato dalla moglie e con un difficile rapporto con la figlia, che vive in America; ma ha pur sempre avuto difficoltà di diverso tipo, e la malattia della madre, l’assisterla, l’impotenza che si prova in quei momenti, lo spingono a ripensare alla propria vita, a riflettere su quali errori ha commesso e in generale su tutta la sua vita.
La storia di Annina è potente, raccontata, come dicevo, in maniera delicata e intensa, e non scade mai nel patetismo: leggiamo di una donna che ha sempre affrontato enormi ristrettezze economiche, che ha subito lutti pesanti tra cui la perdita di un figlio, che ha fatto scelte laceranti per amore di suo marito Toni. La sua storia può essere comune a tanti, forse una delle nostre nonne ha vissuto più o meno le stesse difficoltà. Ed è proprio questo a renderci il personaggio più vicino, più caro, così realistico da farti pensare a lei come a un incontro vivo, reale, con una persona in carne e ossa che ti ricordi ancora dopo qualche tempo. E come vi dicevo, a renderla una persona è tutto: la sua storia, lo stile con cui viene raccontata, la patina di veridicità che l’autore è riuscito a metterle addosso.
La mia parte preferita però, per ragioni totalmente personali, è la storia del figlio. Descrivere i momenti in cui assisti un genitore sul suo letto di morte è una cosa estremamente complessa, perché sono momenti in cui convivono nello stesso animo così tante emozioni contrastanti che è tutto un enorme nodo impossibile da sciogliere, e sopra a tutte c’è sempre un senso di impotenza e di inutilità che ti sfianca e la solitudine del dolore che è un macigno. E lo stile con cui l’autore narra queste parti riesce a rendere l’idea alla perfezione: mi ha dato l’impressione di essere più lento, di concentrarsi sui dettagli, minimi ma molto realistici, come le labbra screpolate impossibili da reidratare. Ho sentito un’enorme vicinanza a questo personaggio, mi ci sono rispecchiata, e se quella di Annina poteva essere la storia di mia nonna, la storia di suo figlio è in parte anche la mia. Ci sono stati momenti in cui avrei voluto averlo vicino e dirgli “ti capisco”. E mi dispiace se non era questa l’intenzione dell’autore, ma è ciò che mi ha trasmesso. In una maniera così potente che a volte è stato un pugno nello stomaco, ma altre volte mi ha fatta sentire meno sola. E credo che non farti sentire sola sia un enorme pregio in un libro.
Correte a comprarlo, perché questo libro è un’immersione che non potete perdervi.
I nostri voti | |
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