Traduttore: Francesca Diano
Editore: Neri Pozza Genere: Narrativa, Storico
Pagine: 320
ISBN: 9788873058878
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Il nostro voto:
"Quattordici maggio 1612". Nella sala di Tor di Nona, il tribunale papale, il notaio, un ometto avvolto di rosso porpora scuro, borbotta scrivendo con la sua penna d'oca. Due mesi, e per la prima volta non ha dipinta sulla faccia un'espressione annoiata, poiché oggi è l'atteso giorno del giudizio. Tra poco, l'Illustrissimo Signore Hieronimo Felicio, luogotenente di Roma e inquisitore di Sua Santità, farà il suo ingresso nella sala, si sistemerà sul suo alto scranno, si accomoderà la veste scarlatta in modo da sembrare più imponente e interrogherà la donna, la giovane artista per la quale mezza Roma è accorsa nelle sinistre aule dell'Inquisizione, mentre l'"assistente di tortura" le stringerà le ruvide corde della sibilla attorno alle dita.Tra poco si saprà se corrispondono al vero le parole della denunzia che il padre della giovane ha sporto presso il papa Paolo V, parole che sono risuonate a lungo in ogni angolo della Città eterna e rimbombano ora nella mente di ognuno nell'umida e scura sala di Tor di Nona: "Agostino Tassi ha deflorato mia figlia Artemisia e l'ha forzata a ripetuti atti carnali, dannosi anche per me, Orazio Gentileschi, pittore e cittadino di Roma, povero querelante, tanto che non ho potuto ricavare il giusto guadagno dal suo talento di pittrice".Appoggiato sul gomito, la barba e i capelli neri folti, in viso il colore e la durezza di una scultura di bronzo, l'accusato, amico fraterno fino a qualche tempo fa di Orazio Gentileschi, siede di fronte alla sua vittima e non cessa per un istante di fissarla con aria sprezzante… Ambientato negli splendidi scenari della Firenze, Roma e Napoli seicentesche, popolato di personaggi storici come Cosimo de' Medici e Galileo, e arricchito di preziose descrizioni dell'ambiente artistico del XVII secolo, La passione di Artemisia narra della straordinaria avventura della prima grande pittrice celebrata e riconosciuta nella storia dell'arte: Artemisia Gentileschi, la donna che, in un mondo ostile alle donne, riuscì a imporre la sua arte e a difendere strenuamente la sua visione dell'amore e della vita.Dramma dell'amore, della passione e dell'odio irrefrenabile, l'opera non è soltanto il romanzo di una donna che infranse tutte le regole del tempo per affermare la propria libertà, ma anche un'esplorazione, meravigliosamente scritta, del XVII secolo e del potere dell'arte.
Per accostarsi a questo romanzo, bisogna scindere la figura storica di Artemisia Gentileschi come pittrice italiana di fine Cinquecento – prima metà del Seicento dal personaggio di Artemisia che ci propone il romanzo. Questo perché le vicende biografiche sono diverse, come ci annuncia l’autrice stessa nelle note introduttive, quando afferma che un romanzo storico deve essere “fedele ai fatti solo nella misura in cui i fatti possano fornire un intreccio credibile.” Insomma, non è una biografia e non pretende di essere tale: è piuttosto un romanzo che vuole descrivere Artemisia Gentileschi come donna, come pittrice, servendosi solo di alcuni fatti della sua vita.
Altra piccola nota: cercherò di linkarvi le immagini di tutti i dipinti di Artemisia e delle opere che nominerò nella recensione, perché credo che leggere il libro conoscendo le opere che descrive sia importante.
Fatta questa premessa, il romanzo è interessante, anche se si notano alcune piccole incongruenze (come quando Artemisia trascina la figlia davanti alla sua prima Giuditta che uccide Oloferne, per dirle in maniera piuttosto cruda cosa le è successo durante il processo e come abbia dipinto quel quadro anche col sangue: una scena molto intensa, se non fosse che è stato detto poco prima che il quadro è stato venduto…) e alcune riflessioni di Artemisia donna che cozzano parecchio con la società in cui vive, e presumibilmente con l’educazione che ha ricevuto. Si sente, secondo me, che alcuni pensieri, anche se è verosimile che Artemisia li abbia avuti, siano più dell’autrice che del suo personaggio.
Il romanzo si apre sulle figure di Artemisia e di suo padre, che si recano ad una delle udienze del processo per stupro che Orazio Gentileschi intraprese contro Agostino Tassi, pittore e suo collaboratore che stuprò ripetutamente la giovane Artemisia e rifiutò il matrimonio riparatore (di questo processo sono disponibili numerosi testi che ne riportano gli atti e le testimonianze). E’ una parte molto vivida del romanzo, anche grazie alla narrazione in prima persona, in quanto è l’udienza in cui Artemisia viene sottoposta alla Sibilla, uno strumento di tortura che le danneggerà per sempre la base delle dita. E’ qui che si sentono alcuni dei primi pensieri più dell’autrice che del personaggio, secondo me: trovo un po’ inverosimile che una donna degli inizi del Seicento possa tranquillamente rispondere ad un giudice “devo forse difendere l’onore di mia madre?” mentre è sotto tortura (proprio per il tipo di società in cui vive). Ad ogni modo, la scena è condotta abbastanza bene (anche se la si può apprezzare solo se non si ha già letto nulla riguardo a questo processo, in quanto è una parte ricca di invenzione e con poche verità storiche), e si iniziano anche a vedere le prime crepe del rapporto padre-figlia, rapporto che si incrina sempre più ad ogni umiliazione che la pittrice subisce per difendere la sua reputazione e che si rompe definitivamente il giorno del verdetto e della ridicola pena contro Tassi, e poi con il matrimonio di convenienza che Orazio riesce a ottenere per sua figlia. Marito della protagonista sarà quindi Pietro Stiattesi, un pittore fiorentino che porterà Artemisia nella città di Firenze.
E’ molto bella la descrizione delle bellezze artistiche di Firenze, e si può notare l’attenzione a non creare anacronismi. E’ ben descritto il rapporto con il marito, anche se c’è uno stacco troppo netto tra l’uomo che Artemisia ci descrive all’inizio con quello che vediamo dopo, quando Artemisia inizia a lavorare per Michelangelo il Giovane (anche grazie a una raccomandazione di suo padre) e poi per i Medici, ottenendo uno dei successi più fulgidi della sua carriera: essere la prima donna ad essere ammessa come pittrice all’Accademia di Firenze. Anche qui, però, le vicende storiche vengono un pochino piegate a favore dell’intreccio: mentre si ritiene che l’immagine commissionata ad Artemisia da Michelangelo il Giovane, l’Allegoria dell’Inclinazione, sia una raffigurazione di Artemisia stessa (in origine, la figura era completamente nuda) e dia quindi un’interpretazione più affascinante al dipinto, come fosse realizzato da una donna conscia della sua bellezza e del suo talento che si immortala in Casa Buonarroti, nel romanzo vediamo la pittrice recarsi all’Accademia per avere una modella, dove trova Vanna, una donna che poi si rivelerà un’amante di suo marito. Il romanzo lascia intendere che sia stata la generosità di Artemisia a lasciare che anche il marito usasse Vanna come modella a creare la relazione extraconiugale, lasciando però poi ad intendere che Pietro aveva numerose amanti prima e dopo il matrimonio: altra incongruenza, secondo me, che prima ci presenta un uomo fantastico e poi un uomo piccolo, invidioso dei successi della moglie e del suo maggiore talento, e abituato a scommettere sui cavalli e avere numerose donne (alla fine, Artemisia dice a suo padre che anche la sua dote è servita a pagare le amanti di Pietro) con uno stacco troppo netto che la sola ammissione di Artemisia all’Accademia non spiega molto.
Artemisia poi viene convocata a Genova per una serie di dipinti, commissionati da un mercante: lascia quindi il marito e porta con sé la figlia, Palmira, che cercherà sempre (senza successo) di avviare alla pittura. A Genova ritrova un po’ del successo che a Firenze non aveva più, ma la lascia dopo un anno per recarsi a Venezia, poi a Roma (dove però subisce cocenti umiliazioni per via della sua reputazione di “puttana”) e poi a Napoli, dove lascia la figlia sposata e parte per l’Inghilterra, dove incontrerà il padre, lavorerà con lui e lo assisterà nel momento della morte, perdonandolo per i torti che le ha fatto (soprattutto riguardo al suo stupro). Anche qui, gli spostamenti descritti nel romanzo non corrispondono a quelli dell’Artemisia storica.
Che dire. Artemisia è un personaggio ben approfondito, ben descritto, soprattutto quando l’autrice descrive quello che la pittrice prova di fronte alle opere altrui o nel creare le proprie (anche nell’ideazione stessa, nella valutazione di come fare qualcosa che sia proprio e non una mera imitazione). Manca un po’ l’approfondimento psicologico degli altri personaggi: del padre Orazio, del marito Pietro, della figlia Palmira, delle suore Paola e Graziella che pure sembrano importanti, dell’amicizia con Galilei e con Michelangelo in Giovane, e delle relazioni tra queste persone e Artemisia. Alla fine rimane di loro un’impressione piuttosto negativa, soprattutto della figlia, descritta come vanesia e superficiale perché non ha l’empatia della madre. Le interpretazioni che l’autrice dà dei dipinti sono interessanti, ma troppo spesso la nascita di questi dipinti, la loro realizzazione, il rapporto di Artemisia con loro (soprattutto con i primi, più cruenti e violenti) vengono piegati alle necessità di un intreccio che spesso è frutto di invenzione.
In definitiva è un buon romanzo, e in certi tratti par di sentire l’odore della pittura. Ma personalmente avrei apprezzato qualcosa di più realistico, perché credo che ai tempi essere una donna pittrice fosse difficile, ma lo fosse ancora di più essere una donna pittrice con la reputazione di puttana per aver subito uno stupro. E’ effettivamente difficile separare il personaggio dalla figura storica, perché la sua arte ci è ancora davanti agli occhi e possiamo percepirne la grandezza, così come percepiamo la grandezza della Roma, della Firenze di inizio Seicento, come percepiamo la sontuosità dei ricevimenti, la vividezza delle descrizioni che pure sono un punto di forza. In alcuni momenti, come nella realizzazione dell’Allegoria dell’Inclinazione, la libertà che si è presa l’autrice pare togliere fascino a una grande figura di donna e di artista: mi sarebbe piaciuto leggere di Artemisia, incinta, che si dipinge nuda e bellissima come simbolo dell’inclinazione per le arti, perché celebrerebbe se stessa nel momento in cui sta per raggiungere un enorme successo, in cui la sua femminilità si esprime al massimo, in cui riesce a vivere la sua bellezza senza legarla alla violenza subita. Sarebbe stato psicologicamente interessante, a mio avviso. Una nota a favore è sicuramente l’interpretazione della Lucrezia, la donna romana che in seguito allo stupro si suicida: è un momento in cui l’artista diventa donna, ridiventa bambina che subisce lo stupro e durante il processo, rendendosi conto di quanto poco verrà difesa dal padre, medita di uccidersi. Questa Lucrezia è una sorta di inno alla dignità di tutte le donne che, in una società di uomini, comandata da uomini, subiscono stupri e diventano puttane. Quel momento così dipinto, così descritto nel libro è veramente forte.
In conclusione, da leggere ma da prendere con le pinze. Vi faccio presente questo sito in cui potete trovare informazioni sulla vita e le opere di Artemisia Gentileschi, interessante anche per la bibliografia che propone.
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Ci farò un pensierino… ho così tanti libri da leggere ultimamente!!