Traduttore: Luisa Collodi
Editore: Piemme Genere: (Auto)Biografia
Pagine: 233
ISBN: 9788838454738
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Il nostro voto:
È mezzanotte. Leila, giovane marocchina cresciuta in Francia, sta dormendo della piccola stanza che condivide insieme ai fratelli, quando la madre la sveglia. Le ordina di mettersi il suo vestito più bello e di preparare il tè per l'uomo seduto sul divano della sala: lo deve accogliere come fosse un re. Leila non lo conosce. Eppure tra pochi giorni quell'uomo diventerà suo marito. Perché così ha deciso suo padre e, se lei oserà ribellarsi, la punizione sarà terribile. Per Leila è l'inizio di un incubo. Suo marito la tratta come una schiava, la picchia, la umilia. Per tre volte Leila tenta il suicidio. Solo la nascita di suo figlio Ryad le dà la forza di ribellarsi. A costo di essere ripudiata dalla famiglia, Leila chiede la separazione.
Murata viva è un libro per certi versi durissimo, quasi indigeribile. La sua autrice (che usa Leila come pseudonimo) è una ragazza musulmana che vive in Francia, e che subisce tutta una serie di umiliazioni e imposizioni che racconta con lucidità, con semplicità, ma non per questo con poco sentimento.
Leila inizia il suo racconto dalla scena del suo matrimonio combinato con un uomo il cui unico scopo è ottenere la cittadinanza. E per spiegare come sia potuto accadere, ripercorre la sua vita in famiglia, in cui è l’unica figlia femmina fino all’adolescenza, e dove viene sottoposta a vessazioni, umiliazioni, restrizioni. Picchiata praticamente ogni giorno, Leila trova nella ribellione al padre uno sfogo al suo desiderio di libertà, che però la riporta in famiglia, alle botte, alle umiliazioni, al servire i fratelli con cui condivide la stanza e che rispettano la sua verginità (che, come spiega Leila, è considerata sacra) ma non il suo corpo. Leila racconta questo momento con una frase fugace, dice solo che suo fratello la umiliò quando era ancora bambina. Non dice chi, non dice altro, e rimane legata alla sua famiglia nonostante tutto. Ma regala al lettore un quadro piuttosto agghiacciante delle condizioni di vita sue e di alcune sue amiche: non possono fumare, non possono parlare con dei ragazzi, non possono comportarsi da “puttane” e più il libro avanza più ci si rende conto che praticamente tutto quello che fa una donna è considerato da “puttana”. In una frase illuminante e purtroppo vera, Leila sottolinea come l’insulto sempre in bocca agli uomini sia proprio “puttana”, proprio perché nella cultura in cui vive l’autrice essere una puttana è orrendo.
Leila scappa di casa varie volte, ma torna sempre alla sua famiglia, e ogni volta subisce trattamenti peggiori. Leggere questo libro è duro proprio per questo: per ciò che la famiglia la costringe a subire, e per ciò che lei subisce continuamente e che non riesce ad evitare, perché è la sua consuetudine, ed è sempre vissuta “murata viva” tra le mura di casa a servire i fratelli nullafacenti, e non ha i mezzi e le conoscenze per cavarsela da sola. La protezione ossessiva della sua reputazione, e della sua verginità (le due cose vanno di pari passo) l’ha portata a non sapere come cavarsela se è affidata a se stessa. Ed è quindi costretta a tornare sempre nella casa che però la uccide dentro, con i suoi divieti, le sue convinzioni, i suoi tentativi di opprimere una volontà quanto mai resistente.
L’unico momento di libertà di Leila è il momento in cui trova lavoro, e riesce quindi a guadagnarsi un po’ di rispetto (non dettato da affetto, pare) in quanto porta a casa una buona somma di denaro. Ma il suo lavorare di notte, il suo fuggire, il suo carattere così restio ad accettare le umiliazioni senza ribellarsi convincono i genitori a darla in sposa, contro la sua volontà, ad uno smidollato: ciò che si legge su quest’uomo è spaventoso. Non ve lo dico perché penso sia importante che chi legge se ne stupisca e inorridisca da sé per quello che questo tizio (manco merita di essere chiamato uomo) fa, pensa e dice.
L’unica cosa buona che Leila ottiene da questo matrimonio è il figlio, che sarà colui in grado di portarla fuori dal tunnel tremendo da cui lei, da sola, non riesce ad uscire.
Verso la fine, Leila spiega la sua necessità di utilizzare uno pseudonimo per pubblicare la sua storia complicata e durissima. Perché questo libro è anche una denuncia e Leila è una donna, e come tale è vittima di pregiudizi, di una cultura e di tradizioni che hanno e portano avanti una concezione distorta della donna. E in queste condizioni, pubblicare un libro come Murata viva senza l’anonimato può diventare pericoloso, per lei.
Come ripeto è un libro durissimo, indigeribile, a tratti addirittura incredibile. Mi sono chiesta, spesso, come fosse possibile. Ma poi ho ricordato una mia cara amica, italianissima, che viveva praticamente nelle stesse condizioni di Leila, ma senza botte e senza matrimoni combinati, ho ricordato le donne segregate in casa e picchiate (a volte uccise) da mariti gelosi e violenti, e tutto ciò che subiscono le donne in genere. E mi sono detta che, purtroppo, non è così incredibile né così impossibile, di qualunque religione, razza e nazionalità sia la donna coinvolta.
Questo libro merita d’essere letto, non solo per la denuncia che contiene, ma anche per la speranza che sa far intravedere.
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