Traduttore: Emilio Franceschini
Editore: Mondadori Genere: Classici
Pagine: 1569
ISBN: 9788804480464
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Il nostro voto:
Il romanzo fu pubblicato nel 1844. Edmondo Dantès, marinaio, prigioniero, misteriosamente ricco, mette a soqquadro l'alta società parigina. Imprigionato a Marsiglia nel 1815, rimane rinchiuso per 14 anni nel castello di If, vittima della rivalità e dell'odio. Ma la terribile vendetta di Dantès ricadrà come una punzione divina. Il romanzo associa, senza la preoccupazione di una trama logica e ragionata, le più incredibili avventure con l'aiuto anche di uno stile agile e incalzante.
Quando fu scritto Il Conte di Montecristo non esistevano ancora le riviste mensili di fumetti; eppure il romanzo può essere considerato un diretto antecedente delle serie supereroiche moderne, non solo per la presenza di un protagonista poderoso e accattivante, capace di attirare su di sé l’attenzione del lettore e i fili della storia, ma anche perché, semplicemente, veniva pubblicato a puntate su un giornale a diffusione popolare, nella tradizione dei feuilleton francesi.
Il Conte di Montecristo, nonostante questo, rimane un romanzo scritto nel diciannovesimo secolo. Ma un romanzo, per quanto estremamente poderoso e molto più prolisso rispetto al picaresco I tre moschettieri, a cui il pubblico si accosta con così tanto piacere proprio per l’alone supereroistico del personaggio che gli dà il titolo. Tuttavia da quando Edmond Dantès sfuggì dalla prigionia nel tetro Chateau d’If in cerca della sua fortuna e, trovatala, si ingegnò per distruggere la vita di coloro che lo ingannarono e lo imprigionarono all’alba del suo matrimonio con la bella Mercedes, il tema della vendetta è stato fin troppo visto, così come la figura del vendicatore. Quanto al giustiziere, novello Robin Hood della società industrializzata, il romanzo popolare francese lo conosceva bene. E si dà il caso che il Conte di Montecristo rivesta entrambe le maschere, la cupa del vendicatore, la benevola del filantropo, maschera lui stesso. Superuomo, dichiarerò a questo punto Umberto Eco in un suo famoso intervento sull’argomento (e che tra l’altro potete trovare in un introduzione al romanzo). Piace per questo, perché supera ogni umano limite, per quanto sia una vecchia storia riproposta più e più volte.
Ma non è solo questo l’aspetto affascinante del libro. Romanzo complesso, appunto, perché accanto alle parti cupe e ai traboccanti melodrammi, Dumas divaga sfacciatamente in resoconti di viaggi italiani, porta il lettore alla scoperta dell’esotismo, lo commuove con storie di briganti dai gesti e dalle parole di eroi da tragedia, lo rassicura con storie d’amore. Lo diverte. Perché se Dumas può essere incolpato di scrivere male, di essere prolisso, di cadere negli eccessi, è nonostante o forse proprio per questo suo stile sfacciato e un po’ kitsch che riesce a rendere vivace ogni soggetto che passi sotto la sua penna.
Puro entertainment, diciamo delle opere contemporanee. Verissimo: peccato che nessuna di loro è resistita fin’ora così bene nonostante avesse già alle spalle oltre un secolo.
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