Traduttore: Luciana Crepax
Editore: Piemme Genere: (Auto)Biografia
Pagine: 253
ISBN: 9788838454639
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Il nostro voto:
Suad, giovane cisgiordana, sta facendo il bucato nel cortile di casa quando sente sbattere una porta alle sue spalle. È il cognato, che le rivolge una frase scherzosa. Suad si volta per replicare ma all'improvviso il suo corpo è intriso di un liquido freddo che in meno di un secondo diventa fuoco. Bruciare viva, è questa la punizione inflittale dalla famiglia per aver commesso il peggiore dei peccati, essere rimasta incinta prima del matrimonio. Nonostante le ustioni di terzo grado che la ricoprono, Suad riesce a salvarsi. Con l'aiuto di un'organizzazione umanitaria, fugge in Europa. Da qui, con indosso una maschera che protegge e nasconde il suo viso deturpato, racconta al mondo la sua storia, sfidando la legge degli uomini e la loro sete di vendetta.
Suad vive in un piccolo villaggio della Cisgiordania, dove ci si veste a lutto quando nasce una femmina, sempre che non la si soffochi nella pelle di pecora appena sguscia fuori dalla madre. Suad deve camminare a testa bassa, senza guardare in viso gli uomini, perché allora diventerebbe una puttana e la sua famiglia potrebbe ucciderla per lavare l’onta del suo peccato. Suad deve lavorare come una schiava per un padre indegno di questo nome, così come è indegno d’essere chiamato uomo. Suad deve fare ogni cosa in maniera perfetta, ma non c’è perfezione che la salvi dalle botte. Una notte, è rimasta legata insieme alla sorella a un palo, nella stalla, con un fazzoletto in bocca per non urlare. Il padre di Suad pensa che le pecore siano meglio delle figlie femmine, perché portano soldi. Invece le figlie femmine sono disgrazie.
Suad è la terza delle sue sorelle, e deve aspettare il suo turno per sposarsi. Ma la maggiore si è sposata, e l’altra sorella sembra destinata a rimanere zitella: e Suad non sopporta di essere derisa per il suo mancato matrimonio, e scalpita perché sa che un uomo ha chiesto di lei ma deve aspettare il suo turno. Suad vuole essere libera, vive nel costante terrore del padre, delle botte e della minaccia di morte che le pende addosso per il suo semplice essere donna. Allora dà appuntamento al suo innamorato, che si prende gioco di lei e la mette incinta. Per Suad è la fine: appena saprà del bambino, lui sparirà, e lei verrà condannata a morte in una riunione di famiglia. Il fuoco le distruggerà il volto, le braccia, le incollerà il mento al petto, e nessuno la curerà, fino a che Jacqueline, che lavora per un’associazione umanitaria, recupererà lei e il suo bambino, la farà curare e le darà la possibilità di avere una vita nuova.
Suad è uno pseudonimo, perché se la sua famiglia natale scoprisse dove vive adesso, potrebbe raggiungerla e assassinarla, perché rimanere incinta prima del matrimonio, o anche solo parlare con un uomo, è una macchia sull’onore della famiglia, macchia che va eliminata insieme alla peccatrice. Suad ancora oggi racconta di avere il terrore del fuoco, dei fiammiferi, di dover controllare lei stessa che i fornelli siano spenti, di non riuscire a vedere un film in cui ci sono scene di incendi senza risentirsi il fuoco che suo cognato le ha gettato addosso, senza rivedersi correre via in fiamme per essere soccorsa da due donne, in strada.
Suad descrive una società in cui le donne sono vittime delle leggi, in alcuni casi atroci e barbare, degli uomini, volte solo a mantenere le donne nell’ignoranza e nella schiavitù. Non c’è rispetto per la donna, non c’è nemmeno solidarietà tra donne, c’è solo la solitudine del terrore, della paura e della vergogna.
Sono tremende le scene in cui Suad racconta la visita ricevuta in ospedale dalla madre, le “cure” che riceve, l’assoluta normalità che ai nostri occhi sembrano così atroci. E’ tremendo il modo in cui Suad reagisce quando arriva in Europa, convinta che tutto sia come nel suo piccolo villaggio: la paura sincera di vedere uccise le donne in minigonna, il sollievo commovente con cui ringrazia Dio che siano vive. E’ tremenda la gioia che lei e le sue sorelle provano quando il padre si fa male, perché significa meno botte.
La storia di Suad è la storia di una donna sopravvissuta al fuoco, ma che deve andare per strada con le maniche lunghe, i pantaloni, il collo alto, la maschera sul viso, perché il fuoco l’ha deturpata in maniera orribile. Si definisce prigioniera della sua pelle, nonostante sia un paese libero: ed è come se fosse ancora prigioniera degli uomini che l’hanno condannata al fuoco, bruciata, con la speranza che morisse. La storia di Suad andrebbe letta da tutti, uomini e donne. Se do così tante stelline al libro non è per il suo valore letterario: è per il suo valore di libro in grado di aprire gli occhi, come Murata viva di Leila, su consuetudini che distruggono le donne, dentro e fuori. Suad forse ancora non si accetta del tutto, come donna. In svariate parti del mondo, le donne pensano di valere meno delle pecore, perché gli uomini decidono così.
E’ significativa una delle frasi finali del libro: Suad spera che arrivi nel suo paese, e che gli uomini non lo brucino. Ma che speranza ha, il suo libro, in un paese in cui le donne sono volutamente tenute analfabete?
Bruciata viva è un libro durissimo, un’esperienza di lettura che, come donna, mi ha sconvolto, mi ha commosso, mi ha strappato lacrime di rabbia e frustrazione. Ma è una lettura che va fatta, per salvare tutte le donne come Suad, che possono essere ancora salvate, o almeno, non dimenticate.
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