Editore: Rizzoli Genere: Narrativa
Pagine: 358
ISBN: 9788817037631
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Il nostro voto:
Nei casermoni di via Stalingrado a Piombino avere quattordici anni è difficile. E se tuo padre è un buono a nulla o si spezza la schiena nelle acciaierie che danno pane e disperazione a mezza città, il massimo che puoi desiderare è una serata al pattinodromo, o avere un fratello che comandi il branco, o trovare il tuo nome scritto su una panchina. Lo sanno bene Anna e Francesca, amiche inseparabili che tra quelle case popolari si sono trovate e scelte. Quando il corpo adolescente inizia a cambiare, a esplodere sotto i vestiti, in un posto così non hai alternative: o ti nascondi e resti tagliata fuori, oppure sbatti in faccia agli altri la tua bellezza, la usi con violenza e speri che ti aiuti a essere qualcuno. Loro ci provano, convinte che per sopravvivere basti lottare, ma la vita è feroce e non si piega, scorre immobile senza vie d'uscita. Poi un giorno arriva l'amore, però arriva male, le poche certezze vanno in frantumi e anche l'amicizia invincibile tra Anna e Francesca si incrina, sanguina, comincia a far male. Silvia Avallone racconta un'Italia in cerca d'identità e di voce, apre uno squarcio su un'inedita periferia operaia nel tempo in cui, si dice, la classe operaia non esiste più.
Di questo libro non sono ancora riuscita a capire, a distanza di qualche mese, se mi è piaciuto oppure no.
Da una parte mi è piaciuto abbastanza lo stile dell’autrice, e ho trovato molto belle alcune espressioni sparse nel libro. Dall’altra però ho trovato che ci fosse un po’ poco realismo nella trama, e soprattutto ho trovato forti esagerazioni nella descrizione di Piombino. Non conosco questa cittadina e non ci sono mai stata se non di passaggio, però dubito che la situazione, anche nelle zone più periferiche e povere, sia quella descritta dall’autrice; capisco il voler descrivere una situazione degradata ai fini della trama, ma l’esagerazione finisce sempre per stonare. Ho avuto quasi l’impressione che si calcasse su questo aspetto perché altrimenti la trama non avrebbe avuto lo stesso impatto; invece secondo me una minore insistenza su queste cose avrebbe senz’altro giovato alla storia, anche perché descrive situazioni che di certo non fanno parte solo di una zona povera. Fatico personalmente a credere che ci siano palazzi in cui i bambini possano far pipì per le scale e la cosa sia percepita come normalità, a prescindere dal luogo. Trattandosi di un’ambientazione reale, non credo che mancassero i modi e gli spunti per aderire di più alla situazione reale; questo, come ripeto, avrebbe solo giovato alla storia, che personalmente avrei percepito come più calata in una realtà, in questo caso quella di Piombino. Altra insistenza che ho trovato un po’ eccessiva quella sul caldo. Ho sempre pensato che ripetere spesso la stessa cosa, scrivendo, sia inutile, perché chi legge non è scemo; questa insistenza puntuale ogni poche pagine francamente dopo un po’ stanca. Ho capito – o almeno credo – il legame tra la stagione e il lavoro nell’acciaieria che dà il titolo al libro, però non ho trovato che poi, ai fini della trama, questo legame fosse così fondamentale, così importante da essere ripetuto ogni due per tre. Certo, il fatto che l’acciaieria faccia da sfondo ad alcune scene, soprattutto a una molto importante verso la fine, e che alcuni personaggi ci lavorino, con tutti i loro problemi, economici e non, e i loro disagi, la rende una parte integrante del romanzo, ma se devo essere sincera pensavo, prima di leggere il libro, che avesse un peso molto maggiore.
Altro difetto come dicevo lo scarso realismo; con tutta la buona volontà una minorenne che lavora in un night mi sembra molto, molto stiracchiata come cosa, e per questo un po’ poco credibile. Se il problema era quello del sesso, c’erano modi più credibili per raccontarlo, anche se credo che anche questo possa rientrare nella descrizione di Piombino come ricettacolo di ogni degrado.
La trama è piuttosto semplice: Francesca e Anna sono amiche e si affacciano alla vita. Sono due adolescenti popolari e invidiate, ma hanno alle spalle due famiglie piuttosto complicate; Francesca ha un padre padrone, violento, di cui conosciamo subito il carattere all’aprirsi del libro, quando spia la figlia che si diverte con gli amici in spiaggia. Il padre di Anna lo conosciamo invece un paio di pagine dopo; non è violento, ma non è nemmeno un padre esemplare, anzi. La storia di Acciaio ruota di fatto intorno a queste due ragazze, alle loro famiglie; e se vogliamo farla breve, e semplificare un po’, siamo di fronte alla semplice storia di due amiche che nel corso di pochi mesi si allontanano, scoprono l’amore, e poi alla fine si riavvicinano. Ci sono poi i personaggi secondari, la storia di padri, madri e fratelli, la miseria, l’infelicità, l’insoddisfazione. Secondo me è proprio la semplicità di questa trama a rendere ancora più evidente l’esagerazione delle descrizioni dell’ambiente; ed è proprio questo a farmi pensare che un’ambientazione più realistica e aderente alla realtà non avrebbe tolto nulla alla trama.
Acciaio non è un libro che definirei imperdibile. Come ho detto all’inizio, lo stile dell’autrice mi è piaciuto abbastanza e forse è stato questo che mi ha portato alla fine. Ma le esagerazioni in descrizioni e trama, e una storia un po’ inconsistente e abbastanza prevedibile lo rendono un romanzo senza infamia e senza lode; e interrompere ogni tanto la lettura perché ci si trova a dire “eh, addirittura!” non migliora le cose. Però se si è disposti a chiudere un occhio su questo e a prendere per buono ciò che dice l’autrice, rimane comunque una lettura piacevole, ma nulla di più.
I nostri voti | |
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Trama | |
Personaggi | |
Stile | |
Ritmo | |
Copertina | |
Generale: |