Un gruppo di persone, rispondendo ad un annuncio, decide di partecipare ad un singolare "ritiro per scrittori". I partecipanti vivranno, per tre mesi, isolati dal mondo. Durante questo tempo, saranno chiamati a scrivere, liberi da ogni pensiero e influenza esterna, un racconto, una sceneggiatura, una poesia.
La mente di questo progetto è un anziano signore, Whittier, il quale, affiancato dalla signora Clark, manovrerà i fili di questo ritiro.
La struttura del libro ricorda molto il Decameron di Boccaccio: i partecipanti si raccontano a turno una storia, per uccidere la noia. C’è, quindi, la storia principale (un gruppo di persone rinchiuse in un teatro che cercano di sopravvivere a loro stesse) e ci sono i loro racconti.
Come si capirà, nel corso della lettura, l’invito non è nient’altro che una trappola; scopo di Whittier, infatti, è quello di studiare il comportamento delle persone in una situazione insolita: la consapevolezza di essere rinchiusi e di non poter uscire per tre mesi.
I partecipanti, invece di dedicarsi alla scrittura, decidono di sfruttare l’occasione per creare la loro Storia, la "Storia di Noi" (come la definiranno), dove loro sono le vittime e Whittier è il carceriere. Una storia da poter raccontare al mondo, da trasformare in film, da spiattellare nei programmi televisivi. Una storia che li renda famosi.
«Ciò che conta» dice Sorella vigilante, «è che la gente ha bisogno di un mostro in cui credere.»
Un nemico vero e orribile. Un demone in contrasto con il quale definire la propria identità. Altrimenti siamo soltanto noi contro noi stessi.
C’è l’ombra della fama che incombe e ognuno di loro immagina di poter raccontare questa storia e di diventare famoso. Cosa c’è di meglio di un sopravvissuto all’inferno?
Perché, ben presto, è questo che diventerà il ritiro per scrittori: un luogo dove il dolore fisico viene cercato per poter incrementare la drammaticità del personaggio. Il dolore diventa di dominio pubblico e i partecipanti si amputano dita, infieriscono sul proprio corpo con l’intento di poter dire, una volta usciti: "Ecco, guardate come ho sofferto. Guardate quello che Whittier ci ha fatto."
In realtà, Whittier non fa proprio nulla, si limita a gettare l’amo in attesa che i pesci abbocchino, dimostrandogli ciò che lui ha già capito, ovvero che l’uomo è attratto dal dolore, e che questo rappresenta l’unico mezzo che ha per elevarsi, per sentirsi diverso dagli altri, ma soprattutto, che l’uomo ha bisogno d’incolpare qualcun altro delle sue sofferenze.
In quest’onnipresente bisogno di apparire e di essere famoso, "Cavie" si qualifica come una surreale critica ai Reality Show, i quali non fanno nient’altro che "regalare" frammenti di celebrità alla gente comune e, poiché la maggior parte di loro non ha alcuna vera dote, l’unico modo che hanno per avere visibilità è sorprendere ed è proprio questo desiderio di sorprendere, di sconvolgere che anima gli aspiranti scrittori rinchiusi nel teatro
Palahniuk non ci svela mai il nome dei protagonisti, eccetto Whittier e Clark. Essi sono delle maschere, dei personaggi qualificati attraverso un nome che li identifica. Il nome ci fornisce già un’informazione chiara e precisa su loro: Lo Chef Assassino, Agente Lingualunga, Madre Natura e via dicendo…
L’impianto che sta intorno alle storie raccontate dai protagonisti è sempre narrato in prima persona, ma noi non sappiamo mai chi sia il narratore.
Inoltre, è singolare notare come, nel corso dei tre mesi, ognuno di loro produca un racconto notevole, senza accorgersene. Sono le storie che si narrano a vicenda, e che potrebbero essere proprio i racconti che avevano intenzione di scrivere. Il problema è che sono talmente impegnati a remare l’uno contro l’altro, e a tessere le trame della loro personale visione della storia da non rendersene conto.
«Nel profondo del nostro cuore, amiamo remare contro la nostra squadra».
Contro l’umanità. Noi contro noi stessi. Tu, vittima di te stesso.
Amiamo la guerra perché è l’unico modo che abbiamo di terminare l’opera. L’unico modo per rifinire le nostre anime, qui sulla terra: il grande impianto di lavorazione. La grande levigatrice. E quello del dolore, della rabbia e del conflitto è l’unico cammino. Verso cosa, non lo sappiamo.
Non posso paragonare questo libro agli altri di Palahniuk, perché è il primo che leggo, ma nel complesso non mi è dispiaciuto, anche se le vere perle di "Cavie" restano i racconti, grotteschi, crudi, surreali e le poesie che li anticipano.