Desideravo leggere questo libro da tempo. Mi aveva affascinata la copertina, il titolo, l’idea che trovavo molto bella di utilizzare termini matematici per esprimere la solitudine. Poi ha vinto il Premio Strega 2008 e mi sono detta che era l’occasione giusta per leggerlo, e recensirlo qui. Le cose che ho elencato mi affascinano anche ora che ho finito il libro, ma devo dire che il mio entusiasmo si è parecchio ridimensionato.
La storia forse la si conosce a grandi linee; due ragazzi, Alice e Mattia, da bambini subiscono “incidenti” che li segnano per la vita, e che hanno un certo impatto sulle loro relazioni con gli altri e su quella che instaurano l’uno con l’altra. Viene descritto un dolore fortissimo, profondo e che non si può affievolire, ma non mi è piaciuto molto proprio come veniva raccontato. Lo stile è, per i miei gusti, un po’ troppo freddo e distaccato. Non ho sentito empatia per i personaggi, non mi sono sentita coinvolta, non ho trovato che ci fosse una grande introspezione psicologica che spiegasse quell’abisso che viene spesso citato. I due personaggi erigono un muro intorno alla loro sofferenza, ma si fatica a capire il perchè di certi comportamenti, di certe frasi, di certe decisioni. Inoltre ho trovato a tratti fastidioso il fatto che Mattia vedesse la matematica pure negli zerbini. Può essere visto come un tratto psicologico importante, e in effetti lo è, ma a volte stroppia.
Anche la storia in sè non mi ha entusiasmata molto, anzi, mi sono un pochino annoiata. I protagonisti, come dicevo, non mi hanno coinvolta, nonostante il loro passato sia presentato come fortemente tragico e il loro presente sia uno sfacelo. Ho provato sinceramente più “pena”, se così si può chiamarla, per le persone che entravano nelle loro vite, come i genitori, gli amici eccetera. Per Alice e Mattia ho provato una mezza indifferenza, tanto che quando ricapitava qualcosa di brutto a uno dei due il primo pensiero era “pure questa? e basta!” Probabilmente io non sono fatta per leggere libri scritti in uno stile simile a quello di Giordano. Preferisco libri che mi facciano ridere o piangere, e questo non ci è riuscito. Comunque, è un gusto personale, e sicuramente altre persone vi diranno che questo è il pregio principale del libro.
Per il resto, rimango dell’opinione che equiparare la solitudine dei due protagonisti ai numeri primi gemelli sia un’idea bellissima, che continua ad affascinarmi. Purtroppo non posso dire altrettanto della storia. In ogni caso, non penso sia un libro da buttare via; penso sia uno di quei libri che o lo ami o lo odi, e per saperlo puoi soltanto leggerlo.
Ti quoto in tutto e per tutto. Nemmeno io ho provato questa grande passione nel leggerlo, sebbene sia stato definito da molti un romanzo mozzafiato. Indifferente positivamente, ecco.
Non so, ho sentito pareri molto discordanti, quindi, diccome mi ha incuriosita, vorrei leggerlo anche io per poter dire bene la mia.
EDIT
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