Se non amate i cani, non leggete questo libro. Se li amate, leggetelo e preparatevi a ridere, e piangere, e dirvi molto spesso che comprendete l’autore.
La storia è molto semplice: l’autore e sua moglie decidono di prendere un cane perchè hanno intenzione di avere un figlio, e vogliono far pratica su come prendersi cura di qualcuno. Entrambi hanno avuto, in passato, esperienze estremamente positive con i cani, e non hanno timori di sorta. Quando scelgono Marley, però, non sanno a cosa vanno incontro.
Marley è un ciclone di vita, di amore e di entusiasmo. E’ un cane iperattivo, in grado di distruggere qualsiasi cosa, con la volontà di fare amicizia con qualunque cane, essere umano o animale gli si presenti davanti. Dispensa bava, ha una forza spropositata che non sa controllare, è estremamente fedele e giocherellone. Essendo iperattivo, però, non ha capito bene cosa sia l’ubbidienza, e i corsi sono serviti a poco, anzi: Marley preferiva annusare il sedere di altri cani che imparare i comandi terra, seduto e piede.
La storia di Marley è una di quelle storie che apprezzi di più se hai, o hai avuto, un cane. Nei suoi disastri riconosci quelli che ha fatto il tuo cane, che siano ciabatte mangiate, vestiti a brandelli o voragini nel giardino. Ma la storia di Marley ti tocca dentro perchè un cane è un amico vero, c’è poco da fare. La fedeltà di Marley è incrollabile, la sua fiducia nei suoi padroni pure, e quando arriva la fine, quel momento che temi da quando il tuo cane era un cucciolo e già ti rubava l’affetto, be’… quando arriva la fine, Marley ti manca perchè in quel cane combina-disastri e dispensa-bava vedi il tuo, e sorridi, e ridi, e piangi, perchè sai che ogni cane è un grande cane, a prescindere dai disatri che ti ha fatto e da quante volte ti ha fatto cadere. Ho riso dei disastri di Marley, ho sorriso dei suoi tentativi di nascondere le marachelle, mi sono commossa delle sue dimostrazioni d’affetto. Ho pianto per la sua morte.
Vi lascio con una citazione, che trovo vera in ogni virgola, e che penso descriva alla perfezione il messaggio del libro.
Quello che volevo realmente dire era come quest’animale aveva toccato le nostre anime e ci aveva insegnato alcune delle lezioni più importanti della vita. "Una persona può imparare molto da un cane, anche da un cane strambo come il nostro", scrissi. "Marley mi ha insegnato a vivere ogni giorno con sfrenata esuberanza e gioia, a cogliere il momento e seguire il mio cuore. Mi ha insegnato ad apprezzare le cose semplici: una passeggiata nei boschi, una fresca nevicata, un sonnellino in un raggio di sole invernale. E mentre diventava vecchio e malandato, mi ha insegnato l’ottimismo di fronte alle avversità. Soprattutto mi ha insegnato l’amicizia, l’altruismo e una profonda devozione."
Era uno straordinario concetto che solo ora, sulla scia della sua morte, stavo assorbendo totalmente: Marley come mentore. Era un maestro e un modello di comportamento. Era possibile per un cane, qualsiasi cane, ma soprattutto un pazzo cane incontrollabile come il nostro, indicare agli umani le cose che contavano realmente nella vita? Direi di sì. Lealtà. Coraggio. Devozione. Semplicità. Gioia. E le cose che non contavano. A un cane non servono automobili lussuose o grandi case o vestiti di sartoria. Gli status symbol non significano niente per lui. Un bastone fradicio gli va altrettanto bene. Un cane giudica gli altri non da colore, il credo o la classe ma da chi sono interiormente. A un cane non importa se sei ricco o povero, istruito o analfabeta, intelligente o stupido. Dagli il tuo cuore e lui ti darà il suo.