Questo libro, secondo me, ha un grosso pregio e un grosso difetto. Il pregio è la tematica difficile, la trama che naviga su un terreno complesso come la politica e il mondo contrapposto tra capitalismo e comunismo; il difetto è che, a volte, l’idea di questo fare i conti col passato e con il comunismo e i suoi orrori entra anche in scene in cui il tema risulta forzato.
Il protagonista è Mario, un uomo di mezza età la cui vita è profondamente influenzata dalla politica. Mario ha creduto fortemente, in gioventù, nel comunismo, nell’idea che il comunismo potesse rappresentare un bene per l’umanità; ha militato nelle file del partito, si è schierato dalla parte dell’URSS, ha creduto davvero di essere tra i migliori. Ma tutto al di qua del Muro. Quando il Muro cade e con esso parte del velo che gli copriva gli occhi, Mario si rende conto che questo sogno, questa idea del bene intrinseco nel comunismo ha numerose ombre, con cui è difficile, scomodo e doloroso confrontarsi. Conoscere persone provenienti dall’Est europeo, soprattutto Sonja, giovane russa che proviene da una famiglia segnata dolorosamente dal comunismo, lo porta a riflessioni sulla contrapposizione tra fascismo e comunismo, sulla politica, su quanto può influire sulla vita degli individui che compongono un popolo. Sulla libertà in genere. Sono queste riflessioni che, a tratti, risultano forzate. Le riflessioni di Mario non sono solo personali, sono spesso oggetto di discussione con gli amici, con i figli, con le persone che vivevano al di là del Muro e hanno un altro concetto del "bene", perchè sanno quando costa. Il problema, secondo me, è che in certe situazioni descritte nel libro discutere di politica in generale e di comunismo in particolare risulta un po’ artefatto, come se il dialogo non fosse naturale tra i personaggi, ma un mezzo di cui si serve l’autrice per presentare vari modi di pensare e soprattutto per introdurre un discorso politico. La maggior parte dei dialoghi nel libro vertono sul comunismo o comunque sull’approccio alla politica, ma quasi la metà non introduce in questi temi in modi naturali. Per lo meno è questa l’impressione che ho avuto.
Nonostante tutto il libro è ben concepito, a mio parere, e riesce a rappresentare bene l’idea di fallimento di cui Mario è pervaso, non solo a livello di pensiero politico, anche a livello di vita personale. L’incontro con Sonja è una svolta fondamentale nella sua vita; questa ragazza infatti proviene da una famiglia di sole donne, decimata dalla guerra e incisa nel profondo dal comunismo. Gli uomini hanno fatto una brutta fine come dissidenti politici o presunti tali, o come semplici "figure scomode"; le donne sono rimaste da sole con le loro figlie, reagendo come meglio potevano alla realtà che le circondava. La figura della madre di Sonja, Irina, compare quasi all’inizio del libro, e aleggia sulla trama, sulle convinzioni, sulle azioni e sugli eventi per tutto il resto della narrazione, fino ad una sorpresa che un po’ si presagisce e che lascia l’amaro in bocca. Irina, anche da lontano, come fantasma, è una figura dall’intelligenza potente e pericolosa, la cui storia è importante e dolorosa, e sa aprire gli occhi di Mario come null’altro ci riesce nel libro.
Insomma, nonostante i suoi difetti a me il libro è piaciuto, e a mio parere avrebbe meritato il Premio Strega più di La solitudine dei numeri primi. Mi sono anche vagamente commossa a un certo punto. La storia che racconta potrebbe essere la storia di uno chiunque – una persona che ha creduto in un ideale e che poi si è ritrovata con nulla in mano, a fare i conti con un passato politico scomodo e difficile di cui pochi parlano e che lui invece vuole capire. Il comunismo da una parte e dall’altra del Muro ha una faccia ben diversa. Forse questo non è il libro giusto per un approfondimento sul tema; ma è un punto di partenza che, pur con una trama da romanzo, senza essere prettamente politico, instilla qualche dubbio.