Esercizi di stile è un libro complesso da catalogare: non è un romanzo, non è una raccolta di racconti, non è un saggio e non è un manuale di scrittura creativa. Si tratta appunto di una serie di esercizi di stile, in cui il linguaggio viene manipolato e la stessa storia ridetta senza essere mai uguale.
La storia di base è una situazione banale, senza nulla di interessante: un giovane litiga, su un autobus, con un’altra persona, accusandola di pestargli volontariamente i piedi. Poi si butta su un posto libero. Due ore più tardi, ritroviamo lo stesso giovane impegnato in una discussione con un amico, che gli suggerisce di spostare un bottone del soprabito.
Che cosa ha questa situazione di interessante? Praticamente nulla. E il pensiero che questa situazione così banale venga ripetuta 99 volte non è certo un incitamento alla lettura. Ma è proprio la banalità della situazione descritta a rendere ancora più evidente la sperimentazione dell’autore, che la ripropone sempre variando qualcosa: la ritroviamo in vari tempi verbali, riproposta attraverso l’uso di diverse figure retoriche, raccontata con lessici particolari, insomma: nessuno degli esercizi è uguale a un altro. E nonostante sia sempre la stessa situazione a essere proposta al lettore, ecco che il lettore non può stancarsene, perchè c’è sempre qualcosa di diverso ad attirare la sua attenzione: questa volta è l’uso, geniale, del lessico culinario, questa volta la manipolazione del linguaggio attraverso particolari figure retoriche. Insomma, davvero una manna dal cielo per chi ama vedere questo tipo di esercizi, che riescono a coinvolgerti abbastanza da farti ripensare la stessa situazione in termini diversi: con altre figure retoriche tralasciate dall’autore, con altri lessici, con altri tempi verbali.
Una menzione particolare va fatta alla traduzione di Umberto Eco e alla breve introduzione al testo, in cui vengono spiegate alcune delle figure retoriche utilizzate poi negli esercizi e gli artifici a cui il traduttore ha dovuto ricorrere per aggirare alcune peculiarità della lingua originale, il francese, come i giochi di parole. Interessante anche la ricostruzione delle diverse edizioni e di quali esercizi siano stati scelti per l’edizione italiana, nonchè la spiegazione di determinate scelte di traduzione, come l’utilizzo di alcuni dialetti italiani, o alcune "aggiunte". L’edizione ha il testo a fronte, quindi chi conosce abbastanza bene il francese può godersi il libro anche di più.
Insomma, un libro che mi sento di consigliare a chi ama vedere fino a che punto il linguaggio può essere manipolato, fino a che punto la stessa situazione possa essere ridetta in modi diversi, e, perchè no, a chi vuole raccogliere una sorta di sfida, e giocare con la lingua come ha fatto Queneau: d’altra parte non sono contemplate tutte le figure retoriche, nè tutti i lessici specifici possibili, nè tutti i giochi a cui si presta il linguaggio. Un esperimento che può annoiare, però, i non amanti del genere; ma si può sempre provare, perchè in questo caso ne vale la pena.
Sono perfettamente d’accordo con la tua recensione, un libro davvero carino, quasi un giocattolo per chi (e da chi) ama davvero le parole e si diverte a comporle insieme come fossero un puzzle sempre nuovo…
edit; avevo scritto insieme staccato
Vero^^