Questo è uno di quei libri che ti fanno sorridere spesso, e insieme ti insegnano tutto che intendono insegnarti: in quel sorriso. Con quello sorriso.
Parlando dell’Utopia di Moro ho detto che dei classici è difficile parlare; ebbene, questo, per me, non vale per Voltaire. Del Candido mi sono letteralmente innamorata.
Se cercate informazioni in rete su questo testo, troverete tutti i significati ad esso attribuiti come testo di critica alla filosofia prettamente ottimistica (rappresentata da Pangloss, un personaggio piuttosto spassoso). Siccome non credo sia questo però il luogo adatto per fare una lezione di filosofia (che andrebbe al di là dell’intento della recensione), mi limito a recensirlo come testo.
Dire che lo consiglio è poco: credo che leggerlo sia doveroso. Non solo per la carica di vitalità che emerge dal testo (come sottolinea anche Calvino nel saggio introduttivo all’edizione che vi ho linkato qui, saggio peraltro ben fatto), ma anche per la serie di riflessioni che suscita. Candido è il personaggio principale del nostro racconto: è quello che subirà più disavventure e soprattutto, quello le cui disavventure verranno narrate abbastanza diffusamente. La forza del testo sta, secondo me, nella sua capacità di riassumere al massimo queste disgrazie, senza lasciare spazio a lamentele e piagnistei (Candido ripete spesso che va tutto bene) ma mostrando al lettore la realtà nuda e cruda di questa sequela quasi incredibile di disavventure, questi incontri con personaggi la cui storia è, a tratti, ancora peggiore di quella di Candido, e questo parlare dei personaggi come fossero indistruttibili, dato che resuscitano e resistono alle peggiori torture e sevizie. I capitoli sono brevissimi, ma così densi che si arriva alla fine quasi increduli della quantità di avvenimenti che è stata narrata: e questa vita esplosiva che emerge dalle pagine in una comicità che deriva dal susseguirsi delle disgrazie (e dei racconti delle disgrazie, riassunti in poche pagine, se non poche righe) si trasmette al lettore lasciandogli un senso di forza.
Non voglio svelare troppo di quello che succede, perchè se è vero che il testo avrebbe forza comunque mi pare ugualmente brutto rovinare una lettura che va goduta dall’inizio alla fine. Come consiglio spassionato, trovo che il testo si apprezzi di più quando non si ha alle spalle l’impianto della critica filosofica che ne è stata fatta. Leggetelo, fatevi la vostra opinione, e poi passate, se vi va, a leggere tutta la critica che volete: l’edizione della BUR che presento qui ha una bibliografia abbastanza ricca. Questo perchè se è vero che questo testo va inserito nel contesto e messo in rapporto alla filosofia che circondava il suo autore, è anche vero che la sua potenza può aprire la mente di chiunque. Non è di una difficoltà estrema: lo si può leggere anche solo come racconto, se non si ha un particolare interesse per la filosofia. Ma per chi volesse accostarsi alla filosofia del periodo e alla filosofia in genere, credo sia un buon punto di partenza, in grado di invogliare alla scoperta del resto e ad alcuni parallelismi tra le critiche che muove Voltaire nel suo testo e a quelle che si potrebbero muovere alla società di oggi.
Insomma: una lettura gradevolissima sotto ogni punto di vista.
Concordo con la tua recensione…Leggendolo non si ha l’impresisone di avere per le mani un testo di filosofia che, ocme si suol dire, ha fatto epoca…Piuttosto ti porta ad una risata, forse quella risata un po’ amara che Pirandello definirà anni dopo umorismo.