Per parlare de "Il gioco del trono" Di George R.R. Martin, bisognerebbe fare un po’ di premesse.
Innanzitutto bisognerebbe premettere che Martin, quando scrive questo primo libro della saga ha già in mente di scriverne altri 3. Ottocentocinquanta (!) pagine il primo, moltiplicate per 3 fanno la bellezza di 2550 pagine, tanto per intenderci. Ad un certo punto, Martin si accorge che 2500 e rotte pagine non gli bastano più e i libri previsti diventano 7. Augurandogli (e augurandoci) che non gli capiti nulla prima dell’ultimo libro, le "Cronache del Ghiaccio e del Fuoco" finiranno intorno a pagina 6000.
Seimila.
Da questo ne consegue che Martin inizia scrivendo una saga e, in corso d’opera decide di scrivere un’epopea. Se lo può permettere? Ve lo dico dopo, per ora continuate a leggere.
Seconda premessa doverosa è che Martin scrive fantasy, ma decide di farlo senza effetti speciali, senza magia ad ogni angolo, senza bestie fantastiche dietro ogni albero. La bestia più strana che c’è in questo libro è il meta-lupo. Cos’è? Un lupo enorme. Fine.
Martin scrive un fantasy fatto di uomini (nel senso di esseri umani), per gli uomini, a base di uomini e accetta per questo di mettere a rischio tutta una vasta fetta di pubblico che legge fantasy solo se ci sono i maghi, i draghi, gli elfi e tutto il resto del carrozzone. Può permetterselo? Anche a questa domanda risponderemo dopo.
Terza premessa è che, in questo suo parlare di uomini, Martin ci parla tanto delle loro teste, quanto dei loro cuori, quanto delle loro carni. I suoi personaggi si feriscono, scopano, si spaventano, muoiono.
Muoiono. Senza pietà.
Per lui, la storia prevale sui personaggi. Sempre. Può permetterselo?
Adesso rispondo alle tre permesse. Sì, sì, sì.
Martin decide di non raccontare la cerca di un uomo, ma la storia di un regno (abbondante) e degli uomini che lo compongono. Non c’è in nessuna delle 850 pagine del primo libro la sensazione di una lotta per un Bene Maggiore, la ricerca della Verità o una qualunque dimostrazione o ricerca di un valore "assoluto e imprescindibile". Martin racconta di uomini e donne fallaci, pieni di difetti, testardi, stupidi, orgogliosi, deboli ma, proprio per questo, ricchi di verità. Questa è la sua grande forza e, lasciatevelo dire, è una forza immensa. Posso assicurarvi che, dei 7-8 personaggi narranti, alcuni li amerete, alcuni li odierete, ma non ho assolutamente idea di quali vi susciteranno una reazione e quali l’altra.
La storia è semplice da riassumere, perché una storia, rimossi tutti i fronzoli, è sempre semplice.
Peccato che per riassumere la storia, pur nella sua semplicità si sia costretti ad anticipare parte delle sorprese.
Essenzialmente è la storia di un regno, del suo re, di una famiglia di nobili colpita duramente da un gioco di potere , di una famiglia che muove le fila di un complotto, di un figlio bastardo e di un nano. Nano come affetto da nanismo, non come nano fantasy che vive sotto le montagne.
E poi è la storia di tutti quelli che restano coinvolti in questo gioco.
Un gioco al quale nessuno può sottrarsi.
Senza raccontarvi troppo, ad un certo punto un uomo deve fare una scelta morale. Tra due mali terribili deve scegliere quello che ritiene il minore. Egli è così combattuto che vi giuro che non saprete cosa ha scelto finché non lo leggerete. Ed è una scena che vale il libro.
Alla fine del libro niente si è concluso, qualcuno è morto, qualcuno è vivo, qualcuno soffre e qualcuno è felice.
Alla fine del libro vi sorprenderete a pensare che forse 6000 pagine potrebbero anche non bastargli.
Lo stile è scorrevole e supporta in modo solido la mastodontica successione degli eventi. I capitoli sono brevi e alternano le voci narranti con grazia, mantenendo sempre vivo l’interesse e fornendo una visione degli eventi da più prospettive che mantiene la narrazione oggettiva. Spesso e volentieri questo stratagemma permette al lettore di affezionarsi "in corsa" ai personaggi e a cambiare opinione su di loro con sorprendente velocità.
La scrittura è spesso cruda e indugia (per qualcuno sicuramente troppo) sui dettagli veraci ma, a ben guardare, tutto è funzionale e mai il sangue, il sesso o la morte sono strumentalizzati.
I difetti di questo libro sono purtroppo tutti italiani.
Il libro è tradotto da S. Altieri in modo non solo pessimo, ma spesso arbitrario. Porto un esempio su tutto, in modo da don rivelare nulla della trama. In uno dei primi capitoli Lord Stark trova un meta-lupo (suo simbolo nobiliare) morto nel bosco. Si viene a sapere che il meta-lupo è morto soffocato dal corno di un unicorno. Qualche capitolo dopo la moglie di Lord Stark si riferisce all’evento come a qualcosa di malaugurante.
Detto così sembra un aneddoto triviale, se non fosse che in originale il corno è quello di un cervo e il cervo è il simbolo di un’altra casata. Quella del re.
Ovviamente le vicende di Lord Stark e del re sono destinate ad intrecciarsi ben presto, dando un senso alle parole di Lady Stark.
Inoltre la versione qui recensita è l’ultima edizione uscita per la collana Urania, la scorsa estate. Prima di allora e (vista la scarsa reperibilità dell’edizione Urania se non comprata in libreria) in generale, chi volesse leggere questo libro, dovrebbe acquistare l’edizione Mondadori che lo spezza arbitrariamente in due volumi distinti ("Il trono di spade" e "Il grande inverno"), rovinando completamente l’armonia e la struttura di un libro interrompendo la prima parte in modo molto diverso da quello che ha scelto l’autore.
Tale scelta ignorante, economicamente pesante per il lettore e offensiva per l’opera in questione si ripete anche per i volumi seguenti della saga, fino a culminare, nell’ultimo libro tradotto in italiano, con la suddivisione in tre (3) libri distinti.
Personalmente, dopo aver scoperto tutto ciò, sono passato alle edizioni in lingua originale.
Detto ciò, il giudizio non può che essere entusiastico, soprattutto se recuperate l’edizione Urania o se lo leggete in lingua originale, anche se forse non si presta al palato di chi l’inglese non lo bazzica così bene.
Consigliato. E’ una perla in un porcile.
Piccolo appunto: l’ultimo libro, A feast for crows, è stato diviso in due volumi. La cattiva abitudine in casa Mondadori non si è ancora spenta. E’ una fortuna per i nuovi lettori, però, che hanno deciso di ristampare il volume in versione intera e con un titolo che richiama l’originale. Avranno anche corretto certe traduzioni arbitrarie?
Per il resto non ho altro da aggiungere, perché mi ritrovo con la recensione. Il fantasy di Martin è una fantasy atipico rispetto a quello che il pubblico si aspetta ma secondo me si avvicina molto meglio allo spirito del genere rispetto a tanti esempi di sword&sorcery.
Ma non ce n’è uno diviso in 3 libri?
Mi sbaglio io?
Sì, ma è il terzo libro della serie, A storm of swords non l’ultimo come hai detto tu. O forse ho capito male…
Nono, sarà disinformazione mia^^
Ottima recensione e libri a dir poco fantastici.