“Human nature is a strange mixture, Watson. You see that even a villain and murderer can ispire such affection that his brother turns to suicide when he learns that his neck is forfeited. However, we have no choice as to our action.”
Interessante notare come proprio questa novella, posta alla fine del libro di memorie, sia stata scritta per evitare al suo autore di continuare a scrivere con “la mano forzata”: Sherlock Holmes era nato per “A Study in Scarlet”, utilizzato in varie storie in “The adventures of Sherlock Holmes”, era stato protagonista perfino di un testo teatrale, e il suo creatore sentiva che era giunto il momento di porre fine alla sua vita, che lo distraeva dallo scrivere “cose migliori”. Era diventato un peso, nonostante fosse amatissimo dal pubblico proprio per le sue caratteristiche peculiar: le deduzioni logiche, le riflessioni più che razionali. Sorprendente è il modo in cui viene mostrata questa tecnica nella varie storie che compongono questa raccolta, e che diventa quasi incredibile in “The stockbroker’s Clerk”, in cui Holmes intuisce un malessere dall’amico Watson dallo stato delle scarpe che indossa.
Ci sono parecchie storie, in questa raccolta, che si concludono tutte con un successo dell’investigatore, che appare quasi oscuro al lettore fino a quando la spiegazione lo rende quanto di più semplice sembri esserci al mondo. Poco alla volta, anche il lettore si abitua a notare, insieme ai due protagonisti, ogni più piccolo particolare, per quanto sembri sempre che manchi qualcosa; probabilmente la brillante intuizione che fa di Holmes l’investigatore pressochè perfetto di cui leggiamo. Persino l’ultima, nonostante sia la storia che ne narra la fine, rappresenta una sorta di successo per l’investigatore: nonostante Watson creda al biglietto che ricevono insieme, e si allontani lasciando solo l’amico per adempiere ai suoi doveri di medico (forse riflesso degli studi medici di Conan Doyle), Holmes capisce che è in realtà un trucco, che è stato usato per lasciarlo solo ad affrontare il suo più acerrimo nemico, quel Professor Moriarty che è l’unico, assieme al fratello di holmes, Mycroft, a possedere le sue stesse caratteristiche, per quanto le abbia utilizzate per affari criminali.
Quello che ho trovato più interessante di questa raccolta, la prima che ho letto di Conan Doyle, è stato il rapporto tra i due personaggi. Holmes e Watson sono amici, ma sono anche due personaggi complementari, che probabilmente non potrebbero esistere senza l’altro, e che si controbilanciano in un gioco di pregi e difetti. Se infatti si guarda a fondo nel personaggio di Holmes, cogliamo sì molte luci, ma anche alcune ombre: lo vediamo infrangere la legge, a volte, (naturalmente a fin di bene), lo vediamo iniettarsi cocaina, lo vediamo, in alcuni casi, usare inganni e in altri casi avere periodi di pigrizia, in cui diventa quasi inetto e in grado soltanto di suonare il violino. Sembra risvegliarsi solo di fronte a nuovi casi, ed è spesso malvoluto dalle polizie locali per la sua sensibilità e capacità d’osservazione che gli permettono di avere successo dove altri falliscono. Watson è l’esatto contrario: indaffarato con il suo lavoro di medico, indaffarato nel sistemare le sue memorie riguardanti le avventure dell’amico, sposato, educato, poco appariscente. Watson è ciò che permette ai difetti di Holmes di essere più oscurati dalla luce delle sue intuizioni e dei suoi pregi.
Entrambi, inoltre, hanno qualcosa del loro autore. Gli studi in medicina di Conan Doyle hanno un sicuro riflesso sul personaggio di Watson, medico con un suo studio, e anche la mente così analitica di Holmes. Alcune abitudini di Holmes sono abitudini del suo autore.
In sostanza, trovo che questo testo sia una base per la letteratura gialla, per chi la ama e per chi, magari, vuole provare a scriverne. Il modo in cui i racconti vengono narrati, nonostante si tratti di ricordi raccolti da Watson, personaggio che ha spesso partecipato alle avventure narrate o che le ha perlomeno sentite narrare da Holmes stesso, mi ricorda a volte la tecnica utilizzata da Boccaccio per scrivere le sue novelle, tecnica molto efficace se applicata a un giallo: il lasciare che il lettore abbia pochi indizi alla volta, e che ci sia questa sorta di tensione in lui per ciò che sa, ciò che deve ancora scoprire, e ciò che a volte manca d’intuire. E’ un modo di narrare che io amo di per sè e che ho trovato ancora più appropriato applicato a questo genere di storie, perchè l’autore è stato in grado di resistere alla tentazione di svelare troppo, troppo presto. Ed era qualcosa che, considerato appunto che venivano narrati ricordi, poteva accadere benissimo.
Ultimo appunto, letto in lingua originale: anche qui mi pare che il testo non presenti troppe difficoltà e possa essere letto anche da chi non abbia una grande conoscenza dell’inglese. Un piccolo consiglio sull’edizione da scegliere in “leggi di più” ^^
Una curiosità tratta dall’introduzione di Luciana Pirè: il nome ‘Holmes’ deriva da Oliver Wendell Holmes, un saggista, romanziere e medico americano, e alcune caratteristiche diventate ‘clichè’ di Sherlock Holmes sono abitudini del suo autore, tanto che spesso sono state scritte biografie di Sherlock Holmes cercando di scoprire chi fossero i personaggi reali a cui si pensava fossero ispirati i personaggi di Conan Doyle.